Dicevamo dello spezzare in due parti...
Ripartiamo dal post precedente e facciamo un passo indietro per parlare
di una manciata di film visionati prima della trasferta a Lucca.
Un po’ di
tempo addietro un amico su Facebook aveva linkato una scena di un recente film
horror che mi aveva incuriosito. Qualche giorno fa gli ho dato una chance. Si
tratta di Quella casa nel bosco
(Cabin in the wood).
Forse avevo
visto dei trailer, non ricordo, ma ho iniziato a guardarlo con l’idea che fosse
il solito teen horror, con il solito gruppo di ragazzotti che decidono di
passare una vacanza nella solita casa sperduta tra i boschi e farsi qualche
bagno nel lago. Ed effettivamente è così “oooh La Casa, Venerdì 13, abbiamo
presente” e pure i protagonisti sono i perfetti stereotipi da film horror, c’è
il tizio sportivo, la biondona svampita, la ragazza un po’ timida che già
dall’inizio pensi “Questa sarà la final girl”, ecc.
Ma in realtà
non è il solito film del genere, perché…
Scopritelo
da soli che davvero non voglio rovinarvi nulla. Dico solo che a me ha parecchio
divertito e mi ha colpito per come mischia vari elementi del genere e ci mette
sempre un po’ di umorismo, parodiando in maniera originale una certa fetta di
horror. Inoltre non mancano il sangue e un po’ di splatter. Sorpresa.
Incuriosito
da alcuni commenti in rete mi sono recuperato anche tale Killer Joe di William Friedkin, film presentato a Venezia l’anno
scorso ed arrivato nelle sale un mesetto fa.
Si tratta della trasposizione di
un lavoro teatrale e vede un cast composto da Matthew McConaughey, Emile Hirsh, Thomas Haden Church, Juno Temple e Gina Gershon.
Senza spoilerare
nulla la storia in breve ruota attorno a una famiglia, che definire
disfunzionale sarebbe eufemistico, che vorrebbe assoldare un killer (il Joe del
titolo, interpretato da Matthew Mc-se-non-me –lo-copio-non-ricordo-mai
–come-si-scrive) per uccidere una persona. Come logico aspettarsi le cose non
andranno come pianificato.
L’ho sentito
definire “tarantiniano” o “coeniano”… mah ci sono alcune caratteristiche
riscontrabili nelle pellicole dei registi citati, ma per il resto non saprei.
Ci sono i personaggi “particolari”, per così dire, e c’è la vicenda dell’uomo
comune (la famiglia, in questo caso) che si immischia in un mondo diverso del
suo e si trova ad affrontare situazioni più grande di lui uscendone
inevitabilmente con le ossa a pezzi, uno dei temi principali della filmografia
dei fratelli Coen, da “Blood Simple” a “Fargo”, da “Non è un paese per vecchi”
a “Burn After Reading”.
C’è un
pizzico di humor nero, specie nella prima parte, ma è principalmente un film
drammatico, anche grazie alla condizione di degrado umano della famigliola.
Nel
complesso non mi è dispiaciuto, anche se mi ha lasciato più di un amaro in
bocca, in particolare il finale, o meglio le ultimissime immagini.
Tra i motivi
di interesse: gli attori se la cavano più che discretamente (McConaughey è
perfetto per la parte) e alcune scene non lasciano indifferente lo spettatore…
anche a costo di risultare, per qualcuno, potenzialmente disturbanti/weird. In
particolare una sequenza quasi alla fine. Non aggiungo altro nel caso vogliate
recuperarlo.
Ah… giusto
per curiosità, Friedkin è stato il regista negli anni ’70 di due importanti
film quali Il braccio violento della
legge (1971, che gli valse un Oscar) e il classico dell’horror L’Esorcista (1973).
Il Fuori Orario del titolo è il film
diretto da Martin Scorsese nel 1985.
Tra tutti i
film di Scorsese che ho visto ad oggi è probabilmente il più… strano.
Sicuramente il più fuori di testa.
Di fatto si
tratta delle stravaganti disavventure in cui si imbatte un modesto impiegato
(Griffin Dunne) nell’arco di una notte, a seguito dell’incontro con una donna
in un bar che lo invita a raggiungerla a Soho.
Davvero
gliene capitano di tutti i colori. Viaggi scatenati in taxi, incontri con
personaggi bizzarri (l’artista di sculture in cartapesta, la cameriera alla
ricerca di affetto, ladri di appartamento…), situazioni eccessive,
inseguimenti, equivoci. Mentre il nostro insolito protagonista cerca senza successo
di tornarsene a casa.
Tutto in una
notte (che tra l’altro è un film di John Landis dello stesso anno), tutto in
una città, la New York tanto cara al regista.
Non è un
capolavoro, né tantomeno il miglior Scorsese (nemmeno degli anni ’80), ma il
suo tocco traspare prepotente anche in un genere non propriamente suo come è la
commedia. Certe inquadrature, scelte di montaggio, situazioni esagerate,
direzione degli attori. La durata di circa un’ora e mezza può essere un buon
incentivo alla visione.
Sulla scia
dell’ascolto del primo album dei The
Doors mi sono visto l’omonimo film.
L’anno è il
1991 e il regista è Oliver Stone, reduce da una seconda metà degli anni ’80 coi
fiocchi: Salvador e Platoon del 1986, l’iconico Wall Street del 1987 e il secondo Oscar
alla regia nel 1989 con Nato il quattro
Luglio.
The Doors è
un biopic sulla storia del famoso gruppo americano, ma va da sé che il film man
mano che va avanti sia incentrato sulla figura del loro componente più famoso e
iconico, Jim Morrison.
Era quindi
necessario scegliere bene l’attore protagonista, per non affossare il progetto
in partenza. E la scelta è ricaduta su Val Kilmer, al tempo probabilmente noto
principalmente per il ruolo di Ice Man nel Top
Gun di Tony Scott.
Di Kilmer
non ho visto tantissimi film, ma comunque non mi ha mai fatto impazzire come
attore (vedere alla voce Batman coi capezzoli di Batman Forever) però devo dire che in The Doors mi è piaciuto
molto, soprattutto per il modo in cui si trasforma nel corso dell’evoluzione di
Morrison, dagli inizi col gruppo fino agli ultimi momenti, prima della morte
(ops, spoiler).
Purtroppo il
film non è altrettanto convincente. All’inizio non è male, ci mostra il giovane
Morrison, l’incontro con Manzarek (interpretato da Kyle MacLachlan, il Dale Cooper
di Twin Peaks) e gli altri componenti
del futuro gruppo, il processo di creazione delle canzoni, i concerti e tutto
il resto. Ed è ok.
Poi con il
successo della band arrivano gli eccessi e Stone decide di premere
prepotentemente l’acceleratore su questo aspetto, rendendo buona parte del
resto del film una raffigurazione di un Jim Morrison costantemente ubriaco e/o
drogato, con i suoi eccessi e il rapporto con le due figure femminili
principali (una Meg Ryan autrice di una prova piattissima e una più interessante
Kathleen Quinlan) , a mio parere a discapito del lato artistico della band e
della personalità dello stesso Morrison. Pare che il vero Ray Manzarek abbia
detto di aver collaborato con Stone per raccontargli alcune vicende e aneddoti
sui Doors e Jim, ma che il regista abbia volutamente tralasciato gli aspetti
più divertenti e gioviali del cantante. E’ un peccato perché per oltre metà
della pellicola (che ha anche una ragguardevole durata di quasi due ore e
mezza) non si fa altro che vedere il protagonista barcollare per lo schermo e
sclerare. E la colpa non è di Val Kilmer che tira fuori il massimo che si
poteva da un personaggio scritto così.
A parte
questo il film è comunque interessante e ben realizzato, come ci si
aspetterebbe da un regista di quel calibro e dai suoi collaboratori. E poi la
colonna sonora merita, e vorrei ben vedere.
Ma
nonostante il risultato finale non del tutto riuscito mi sento di perdonare
Oliver Stone, per il semplice fatto che nello stesso anno ha diretto anche il
suo miglior film, J.F.K.
Concludo la
carrellata con un film fresco fresco di uscita e che troverete ancora un po’ al
cinema: il 23° capitolo della saga dell’agente segreto 007 Bond, James Bond e
che risponde al nome di Skyfall.
Si tratta
del terzo film con Daniel Craig protagonista, dopo la sua prima avventura nel
2006 con il riuscito Casino Royale che
aveva rilanciato le quotazioni della serie.
Aveva
seguito Quantum Of Solace, piaciuto
decisamente meno ma comunque un discreto prodotto d’intrattenimento.
Questo Skyfall
ha dalla sua un inizio subito nel pieno dell’azione con inseguimenti
incredibilmente esagerati ma gustosi, un po’ come accadeva in Casino Royale e
quasi l’opposto rispetto all’altro importante spy-action movie della stagione,
quel The Bourne Legacy con cui ho
inaugurato il blog e che manteneva il top dell’azione in serbo come
ammazzacaffè e partiva con una parte che mirava a studiare personaggi e
retroscena.
Dopo
l’iniziale scarica di adrenalina il film si assesta su binari più lenti con
qualche sprazzo qua e là.
Il problema
che personalmente ho riscontrato è che due dei suoi difetti li ha presi dai
predecessori: una storia che non riesce a convincere del tutto ereditata da QoS
e una durata eccessiva che, se per Casino Royale non si sentiva troppo perché
c’era il sostegno di una buona sceneggiatura,in Skyfall da la sensazione di avere
di fronte un brodo allungato, con varie scene che potevano benissimo essere
tagliate e una storia che non mi ha convinto.
Colpa anche
del villain principale del film: Javier Bardem. Che per buona parte del tempo
sembra urlare “I’m ACTIIING!”, è autore di alcuni momenti alquanto creepy nei
primi minuti di incontro con Bond e soprattutto ha un piano criminale da “Ma
perché???” (ma questi ultimi 2 sono problemi più di chi ha scritto la
sceneggiatura).
Arrivato
alla fine mi sono sentito in parte divertito, perché comunque della buona
azione c’è, Craig fa il suo, c’è qualche approfondimento sul passato di Bond,
strizzate d’occhio ai vecchi film (non sono un fan di 007) e ci sono alcune
cose interessanti. E in parte intento a sciacquarmi il gusto amaro dalla bocca
per via di una storia ballerina, di un cattivo da cartone animato e varie scene
un po’ così.
Il film di Stone sui Doors potrebbe tranquillamente infilarselo nel culo. Non ha capito un cazzo, dei Doors, quell'idiota.
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